Testimonianza di don Sandro Ferretto

 

 

 

Bambini di Mochongoi

Bambini di Mochongoi

Intervista rilasciata alla Difesa del Popolo del 20 marzo 2011.

 

E’ entrata nel vivo la Quaresima di fraternità, percorso di riflessione, preghiera e impegno personale e comunitario proposto dall’ufficio missionario diocesano per il periodo di quaresima. Nella sua seconda settimana di declinazione, partendo dal racconto evangelico della trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, si sofferma sul tema dell’ascolto.
A don Sandro Ferretto, missionario diocesano fidei donum in Kenya dal 2007, abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere concretamente questa Parola, con lo sguardo rivolto alla terra e alla gente della sua missione.

Nel tuo servizio missionario hai incontrato esempi di “trasfigurazione”, di cambiamenti di verso, di cuore, in storie personali o nel contesto comunitario e sociale?
«Occhi sporchi… Il non

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vederci è un bel problema. Siamo sempre più schiavi degli occhi degli altri. La maggior parte delle nostre scelte e delle nostre azioni sono per compiacere l’altro. La maggior parte di ciò che si fa è per apparire e non per essere. Un “occhio pulito” è semplice, non ha bisogno di aggiungere, di dominare. Con i nostri occhi facciamo sempre più fatica a vedere l’altro, vediamo piuttosto a cosa ci può servire o essere utile. Eppure esistiamo in quanto “guardati”. Senza occhi puliti, occhi semplici, è impossibile riconoscere.
E’ difficile stupirsi di tutte le trasfigurazioni che avvengono nella storia, nel quotidiano. A me piace pensare che Gesù quella luce l’aveva sempre. Pochi l’hanno a causa dei loro “occhi”, anch’io a causa dei miei occhi non riesco a vederla. E forse la luce non è solo bianca.
Ogni giorno faccio esperienza di volti, belli scuri ma che emanano una luce tremenda. Tutte storie semplici, non eclatanti, poco utili per strappare offerte, ma tremendamente quotidiane, semplicemente vere. Donne che soffrono in silenzio ma non si piegano, vanno avanti e sorridono. Giovani di etnie diverse che collaborano assieme. Persone che accettano la morte, perché è un’esperienza quotidiana della vita, e perché sanno – senza saperlo – che la vita non è una loro proprietà. E’ il primato della persona sulle cose, del tempo sugli impegni, e della fiducia – a volte imbarazzante e tipica di chi ancora si percepisce creatura fragile e non onnipotente – che Dio c’è, che Lui sa cosa è meglio per noi. E ancora la solidarietà di questa gente, il loro aiutarsi a vicenda. Non perché sono più bravi, ma perché sono ancora poveri, e perché sono ancora benedetti dall’essere “auto insufficienti”: una gran bella cosa. E’ vivere sapendo che da solo non vai da nessuna parte, che hai bisogno del vicino. Ma quando la povertà diventa miseria, allora vedi tanti volti sfigurati dal dolore e da tutte le nefaste implicazioni della miseria».

L’impegno per questa settimana è quello dell’ascolto. Il missionario, in ascolto della persona africana, cosa percepisce in questo momento? E’ più forte il pianto, il lamento, la rabbia, la rassegnazione, la gioia, la vita, o…? Qual è il problema più sofferto dalla sua comunità in questo periodo?
«E’ sempre più forte il canto. Ho letto da qualche parte che un popolo che non canta non ha futuro. Qui la vita è ancora più forte, proprio perché ancora non è percepita come proprietà. I problemi sono quelli di ogni giorno: la scuola superiore da pagare – grande salasso per le famiglie -, il cibo, l’acqua… Usciamo da sei mesi di siccità totale, l’acqua in molte parti del Kenya è già un’emergenza. Dopo un anno di raccolto eccezionale non si sa cosa ci aspetta. Ma se si chiede a una persona qualsiasi della nostra gente, ci si sentirà rispondere, senza alcuna esitazione: “Pioverà!”».
Sono forti le preoccupazioni per le prossime elezioni o non sono sentite? Quali sono le attese più grande, le speranze, le preoccupazioni?
«Forse occorre ricordare che uno dei punti dell’accordo siglato tra il presidente Kibaki e il primo ministro Raila Odinga, al momento della creazione di un governo di unità nazionale per mettere fine alle vittime di quello che poteva essere un secondo Rwanda, era che gli autori di quelle violenze avrebbero dovuti essere processati in Kenya o affrontare IIC (la Corte penale internazionale) dell’Aia. Fallito il tentativo locale, Luis Moreno Ocampo, giudice dell’Aia, ha pubblicato i sei nomi dei principali accusati di crimini contro l’umanità. Tre di parte Kikuyo, tre di parte Kallenjin; si tratta dei ministri dell’industria, delle finanze, dell’educazione, dell’ex capo della polizia, del capo dell’amministrazione pubblica e di un giornalista. Come ha reagito il mondo politico? Ha cercato di difendersi per perpetrare il sistema di impunità e corruzione. Ma l’accusa dell’Aia ha messo in luce tre cose: ha mostrato come sia un po’ superficiale parlare per noi occidentali di “tribalismo”. Dietro alle violenze c’erano persone, pianificazioni e finanziamenti precisi; il tribalismo non è certo la causa. Poi ha portato in evidenza una politica corrotta, lontana dalla gente che fa i suoi interessi, che resta impunita e si disinteressa del bene comune. Per ultimo una grande instabilità nelle lotte di potere che, in vista delle elezioni, potrebbe scatenare altre violenze.
Una nuova costituzione è stata votata, attesa e voluta dalla gente, che non ha per niente accolto l’invito della chiesa cattolica kenyana a votare “no”. Ha vinto il “sì”. Tutti sognano un “Kenya Mpya”, un nuovo Kenya, e la nuova costituzione è stata la cifra di questo sogno. Ci vorranno cinque lunghi anni per attuarla, ma non sarà un iter indolore, visto che tocca interessi di politici che hanno fatto dell’impunità e della difesa dei propri interessi un modus vivendi».
Come possiamo noi, dal nostro posto, metterci in ascolto, e dunque a servizio, del popolo keniano e africano?
«Qui ogni persona bianca viene accolta e fatta sentire un “re”. Certo i kenyani in Italia sono pochi, ma ci sono tanti altri africani. Provate ad accoglierli un po’ di più, a essere meno razzisti… con altre parole “ad avere occhi puliti”!».

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