Tabor Hill Spiritual Centre

Un bel video (realizzato da Luca Ramigni e Marco Zuin) che presenta la realta’ del Tabor Hill:

https://www.dropbox.com/s/x65wau2vt85pexs/TABORHILL-master.mp4

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Sostegno mirato alle missioni diocesane

I progetti segnalati dai fidei donum interpellano la nostra solidarieta

La Quaresima di fraternita, con la sua raccolta di offerte per i progetti dei missionari diocesani nel mondo, anche quest’anno vuole raggiungere in maniera mirata popolazioni in situazioni di difficolta e di svantaggio.

In Kenya si arricchisce la progettualita e i nostri missionari, in cooperazione con la chiesa di Nyahururu, si adoperano in nuovi percorsi e verso mete rinnovate: «Siamo stati guidati dallo Spirito su strade nuove – spiegano – chiamati a una pastorale che arrivasse a sviluppare e approfondire gli impegni gia iniziati nelle parrocchie, a sostenere la carita nella formazione (Tabor Hill), nella salute (North Kinangop), nel sociale (Saint Martin)».

  • Il centro Tabor Hill, la pastorale giovanile diocesana e la fraternita di Taize organizzano un ritiro spirituale di quattro giorni per una settantina di giovani (richiesti alla nostra solidarieta 4 mila euro);
  • per i 1.300 volontari del Saint Martin viene organizzato un cammino formativo e pedagogico per aumentare la capacita di coinvolgimento della comunita nell’incontro con i piu poveri (richiesti alla nostra solidarieta 10 mila euro);
  • per preparare il materiale delle attivita catechistiche (due anni di preparazione al battesimo), compost da borsa, quaderno, testo di catechism fotocopiato, penna e matita, la comunita ha bisogno di 6 euro per ogni kit: sono richiesti alla nostra solidarieta 6 mila euro;
  • occorre rifare le tubature e cambiare la pompa al pozzo della parrocchia di Mochongoi, e costruire una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana (richiesti alla nostra solidarieta 5 mila euro);
  • e necessario un generatore elettrico per le attrezzature e il funzionamento dell’ospedale di North Kinangop, che accoglie circa 7500 ricoverati e 60 mila visitati ogni anno: sono richiesti alla nostra solidarieta 15 mila euro.

Difesa del Popolo del 26/02/2012

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Auguri di Buona S. Pasqua

Tanti auguri di Buona Pasqua… un abbraccio fraterno, in compagnia di Gesù.

don Raffaele e tutti noi dal Kenya


( la foto: altare-tabernacolo della comunita Arche-Kenya, Effatha, Nyahururu )

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Karibu na Keziah! Vicini a Keziah!

Keziah è una bambina di 8

anni. Vive in Kenya, Kinamba, località Mwenje e frequenta la classe quarta della scuola primaria. Abbiamo conosciuto Keziah un anno fa, poco dopo che i medici le avevano diagnosticato un Anemia Aplastica, una grave forma di leucemia. I genitori sono molto preoccupati perché una sorellina di Keziah: Wanjiku, e’ gia’ morta qualche anno fa per la stessa malattia. Dopo aver percorso tutte le strade possibili, ai genitori di Keziah è stato detto che la cura è molto lunga e complessa e prevede: il trapianto di midollo osseo, chemioterapia, radioterapia e sei mesi di sorveglianza post trattamento. Si tratta di un intervento molto costoso, che non può essere effettuato in Kenya. Il dono di aver conosciuto Keziah si è quindi trasformato per noi in RESPONSABILITA’!
Nonostante le difficoltà, sembra che il SOGNO di ridonare la speranza e la gioia a Keziah e alla sua famiglia sia possibile attraverso il reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale di Padova. Il primo passo, gia’ concluso, è stato verificare la compatibilità dei famigliari, esame che però ha dato un esito negativo. (Costato 2500 Euro). Il passo successivo sarà quindi la ricerca di un altro donatore e l’intervento stesso. (Il preventivo fatto dall’ospedale di Padova è di 110.044 Euro.) A questo verranno poi aggiunte le spese per i viaggi e l’ospitalità in Italia di Keziah e la mamma.
Perché questa SPERANZA non resti solo un sogno per Keziah e i suoi genitori, chiediamo a te e ai tuoi amici di aiutarci a farlo diventare REALTA’!

Grazie al coinvolgimento dell’Associazione ONLUS “Famiglie Insieme” di Breganze (VI) presso la quale sarà aperto un conto bancario specifico con questa intenzione, e di alcune comunita’ Parrocchiali venute a conoscenza del problema di Keziah, si sta gia’ mettendo in moto una catena di solidarieta’ che ci riempie di fiducia.

Siamo anche convinti che la trasparenza sia un valore a cui non possiamo rinunciare per cui ti invitiamo a visitare il blog che a breve sarà attivo e che verra’ costantemente aggiornato sull’andamento della raccolta e sugli sviluppi dell’intervento.

Karibu na Kezia, in kiswahili significa vicini a Kezia, ma anche benvenuti. Benvenuti in questo viaggio, benvenuti in questa speranza… benvenuti!

Buona Pasqua, allora… “non cercate tra i morti colui che è Risorto”…e siate segni della sua speranza!

don Mariano dal Ponte e don Sandro Ferretto
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Il suo motto: “Amatevi come io vi ho amato”

È ormai da settimane che a Nyahururu si sta lavorando alacremente – in prima fila i missionari fidei donum padovani, coordinati da don Raffaele Coccato – per preparare al meglio la celebrazione di ordinazione a nuovo vescovo di mons. Joseph Mbatia. Sabato 24 marzo la grande spianata dietro la cattedrale accoglie migliaia di fedeli, provenienti da villaggi e paesi della diocesi africana, che desiderano partecipare al rito. Come rappresentante della diocesi di Padova è presente don Valentino Sguotti, direttore dell’ufficio missionario, assieme a un gruppo di preti diocesani già fidei donum in Africa.

Domenica 25 marzo il vescovo Mbatia dà l’inizio del suo mandato a Nyahururu nella sua prima messa pontificale in cattedrale. Per l’occasione ha invitato mons. Luigi Paiaro a presiedere con lui la celebrazione. «Ricorderò così – racconta il vescovo padovano – i nove anni dalla mia ordinazione».

Mons. Joseph Mbatia ha scelto come motto episcopale “Amatevi come io vi ho amato”. «È bellissimo e gliel’ho detto – aggiunge mons. Paiaro – Abbiamo scritto alla diocesi di Padova che dal primo motto “Carità e fede” del vescovo che si ritira, il sottoscritto, si procede con l’amore vicendevole: raggiungerlo è possibile sotto la guida del nuovo vescovo. È quello che auguro a questa bellissima chiesa di Nyahururu, dove la fede è stata “piantata” dai fidei donum della diocesi di Padova che la amano perché la sentono anche loro».

Ma chi è il nuovo vescovo di Nyahururu? Joseph Ndembu Mbatia è nato il 10 maggio 1961 nel villaggio di Itabua nel distretto dell’Embu. È entrato nel seminario maggiore Saint Augustine (diocesi di Bungoma) per gli studi filosofici nel 1982 e nel seminario maggiore Saint Thomas Aquinas (diocesi di Nairobi) per gli studi teologici nel 1984, fino al 1987. Nel contempo ha conseguito un certificato in studi superiori di religione all’università di Nairobi. È stato ordinato sacerdote il 18 febbraio 1989 nella diocesi di Nyeri.

Mons. Mbatia ha svolto il suo servizio sacerdotale in vari luoghi e con diverse responsabilità: come diacono nei mesi di ottobre-novembre 1988 nella residenza del vescovo di Nyeri e nella parrocchia di Njabini fino ad aprile 1989. Fino a febbraio 1990 è stato il cappellano dell’ospedale diocesano di Nyeri, Consolata hospital Mathari, e vice parroco nella stessa parrocchia del Mathari. Sempre nel ’90 è stato vice parroco a Ngandu, e poi parroco prima di Kahirainie e in seguito di Mweiga fino al 2001. Da marzo 2001 a febbraio 2004 è stato parroco di Ndunyo Njeru-Kinangop e poi a Mutanga fino al 2007, entrambe località dell’attuale diocesi di Nyahururu. Dal 2007 al 2009 ha conseguito la licenza in teologia pastorale all’università cattolica dell’East Africa a Nairobi. Infine è stato parroco di Manunga dal 2009 fino alla sua nomina a vescovo di Nyahururu, di cui è stato dato l’annuncio il 24 dicembre 2011. Nella diocesi di Nyahururu ha ricoperto il ruolo di amministratore dal 2003 al 2004 e di vicario generale fino a dicembre 2011.

La Difesa del popolo di Domenica 25 Marzo 2012
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Con i Piedi per terra 2012 – Kenya

Simona Atzorimette i piedi per la seconda volta in Kenya. Fondazione Fontana, seguendo i suoi passi, propone la realtà del St. Martin di Nyahururu e il suo motto “Only Through Community”.

Il video-diario CON I PIEDI PER TERRA, on line

ogni giorno a partire dal 27 gennaio fino al 4 febbraio: sarà l’occasione per mostrare un’esperienza africana che ha nella relazione e nel coinvolgimento la metodologia lavorativa privilegiata. Al St. martin le fragilità possono diventare un catalizzatore di energie positive per far emergere l’enorme potenziale presente in ciascuna comunità.

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Auguri di Natale di don Raffaele Coccato

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Lettera di Natale di don Gabriele Pipinato

“Gratuitamente

avete ricevuto

gratuitamente date.”

Natale 2011

Cari Amici,

Pace!

Sono felice di raggiungervi a Natale con queste righe che vi dono come si fa tra amici: gratuitamente. In realtà, so poco della gratuità ma la incontro tutti i giorni nelle donne d’Africa, mamme instancabili che attingono la loro forza da sorgenti a me inaccessibili.

Per grazia, le mie notti oscure e senza gratuità sono abitate da angeli che mi ricordano la bellezza della luce. Janet è stato il mio angelo un giorno: dovevo rivedere il libro sul vangelo che scriviamo ogni anno comunitariamente ed ero molto in ritardo. Ero quindi fuggito dalla confusione del mio ufficio per poter lavorare in pace a casa mia, nella comunità di Effatha. Per non perdermi in lunghi saluti, sono sgattaiolato nella mia stanza passando dal retro, ma guarda caso, mi sono trovato davanti Kababa che ha voluto accompagnarmi in stanza e aggiornarmi sulle ultime novità con le uniche tre parole che sa mettere in fila.

Cercavo di convincerlo di ritornare al suo lavoro, ma non c’era verso.

Decisi allora di accompagnarlo al laboratorio dove ho dovuto salutare tutti e, si sa, le persone con disabilità mentali non hanno fretta e hanno sempre qualcosa da raccontare. Insomma, una buona mezz’ora se n’era già andata.

Finalmente potevo tornare al mio lavoro, ma non molto tempo dopo, ecco ricomparire Kababa con Michael che era arrivato in ritardo. Michael fa fatica a parlare, ma aveva tante cose da raccontarmi. Lo assecondai fingendomi paziente ed interessato.

Infine li riaccompagnai al laboratorio e dissi a Janet, la responsabile, che avevo già perso troppo tempo e che evitasse in tutti i modi che io fossi disturbato nuovamente.

Quella sera, dopo cena, Janet mi chiese se avevo finito il libro e se scrivevo anche di loro.

Risposi che avevo finito e la assicurai che alcune pagine parlavano della nostra comunità.

Fu allora che Janet divenne il mio angelo e mi disse: “Caro Gabriele, la prossima volta scrivi qualche pagina in meno su di noi e rimani qualche ora in più con noi”.

Una bella botta, non c’è che dire. E certamente ne avevo bisogno.

Mi rendo conto di non essere stato educato alla gratuità delle relazioni, ma piuttosto ad una generosità efficiente e a rispondere ai bisogni dei poveri facendo delle cose per loro.

So bene che la generosità e l’efficienza sono necessari, tuttavia sono solo il primo passo di un cammino che conduce ad un amore fatto di presenza. Oso dire di più: di comunione.

Ai piedi della croce Maria non è affatto generosa.

È la “stabat mater” che non può far più nulla per suo figlio se non rimanere al suo fianco.

Vive una comunione profonda con Gesù; ha fiducia in lui quando nessuno gli crede più; sa amarlo quando tutti lo rifiutano; attende di accoglierlo tra le sue braccia ai piedi della croce come lo accolse tra le sue braccia a Betlemme. Nella debolezza del suo Gesù lei è presente.

In questi giorni, abbiamo accolto nel centro del St. Rose due sorelline, Mary di nove anni e Lucy di tre. La loro mamma era una donna povera di mente e di cuore che non ha saputo prendersi cura delle sue bambine. Ultimamente era stata incriminata per furto e nonostante fosse incinta,

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i suoi carcerieri hanno abusato di lei e poi l’hanno ammazzata di botte.

L’unico rifugio per queste sorelline sarebbe stata la nonna che però le ha rifiutate, considerandole l’origine di tutti i problemi di sua figlia. Quindi il giudice le ha affidate a noi.

Sono state accolte con grande gioia dalle altre bambine del St. Rose e dopo pochi giorni Mary e Lucy hanno ritrovato il sorriso. Queste due sorelle hanno certamente bisogno di un piatto caldo, una casa accogliente e un vestito decente, tutte cose che non hanno mai avuto, tuttavia quello che davvero manca alla loro vita non è qualcosa ma qualcuno.

Qualcuno che le accolga con gioia e le sappia ascoltare. Che capisca l’angoscia del loro pianto e con pazienza restituisca loro fiducia. Che voglia vivere con loro e offrire quell’amore che non hanno mai conosciuto.

Abbiamo cercato e trovato una famiglia che è disposta ad accoglierle nella loro casa.

Un’altra Betlemme dove Gesù può essere amato.

Un’altra mamma che ha detto si.

Un altro papà disposto a sacrificarsi per amore di figli non suoi.

Una Betlemme vicina alla mia vita, dove la stella può finalmente fermarsi e dove posso vedere e toccare il Natale: perché io ho bisogno di vedere l’amore e di toccare Dio, come i pastori che si sono spupazzati il bambino Gesù rubandoselo dalle braccia gli uni dagli altri. Così anch’io, la notte di Natale, me ne starò in silenzio a contemplare il mistero della debolezza di Gesù, di Mary e di Lucy e il mistero d’amore di chi li ha accolti.

Come i pastori che raccontarono del bambino e della sua mamma ad altri pastori, proverò anch’io a raccontare di due bambine e della loro mamma ai ragazzi di strada nella notte di Natale e ai miei amici del carcere il mattino seguente. Poi rimarrò in silenzio a sognare la gratuità di questo Dio bambino, che è così povero da avere bisogno dell’amore dei miei amici di strada e del carcere e desidera vivere in comunione con loro.

Un Dio bambino e semplice come Kababa, che è il mio angelo di questo Natale. Ho bisogno di lui e delle uniche tre parole che sa mettere in fila: “Fai qualche cosa in meno per me e rimani un po’ di più con me.”

Buon Natale, fr. Gabriele

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C’è la carestia e i poveri aiutano i fratelli più poveri

La testimonianza di un laico fidei donum, nel paese africano con la famiglia. – Difesa del Popolo del 16 ottobre 2011

Il ritrovo con Martin era alle 5 del mattino. Pochi minuti prima dell’appuntamento sono uscito di casa, era buio, in cielo c’era una stellata incredibile. La macchina era

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puntuale al cancello e così, dopo una stretta di mano che tradiva l’emozione per l’avventura che stavamo per intraprendere assieme, siamo partiti.

Ma, andiamo con ordine. Per capirci qualcosa di questa storia bisogna tornare indietro di qualche settimana. Sapete benissimo quello che sta passando il Corno d’Africa, si parla di 12 milioni di persone che rischiano la morte per fame e sete soprattutto in Somalia, Kenya, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, dove stanno soffrendo la più grande carestia che si sia vista da anni. Carovane di gente che scappano dalle zone più colpite per cercare un posto migliore che non c’è, ammassandosi in immensi campi profughi dove la comunità internazionale sta cercando di provvedere con viveri ed un minimo di assistenza.

E di fronte a tutto questo … ecco la nostra storia, una storia che racconta di un miracolo, il miracolo della condivisione.

Noi viviamo a Nyahururu, a 2400 m, dove piove, anche troppo a volte. Ma il nostro “benessere climatico” non ci esentava come Saint Martin e come comunità a pensare cosa potevamo fare per i nostri fratelli dove l’acqua dal cielo non la vedono da anni. Pensammo che era una buona occasione per mettere il “carro davanti ai buoi”. Per una volta non mettersi a tirare, ma provare a spingere. Cercare di mettere in moto la nostra diocesi cattolica e le diverse chiese protestanti in un movimento collettivo di condivisione in cui ritrovarsi tutti fratelli al servizio di altri fratelli in difficoltà.

Così, quel sabato, io e Martin siamo partiti verso nord, con la macchina piena di sacchi di mais e riso ed un assegno con tutto quello che si era riusciti a raccogliere.

Dopo diverse ore arriviamo all’appuntamento. Ci accoglie don Marco, prete torinese, vicario generale della diocesi di Maralal. Ci intratteniamo con lui che ci racconta che in quella diocesi, ampia oltre 20.000 km², c’è una zona dove non piove da 5 anni! Dove tutto è praticamente morto ed ovviamente le categorie più colpite sono gli anziani e i bambini (i giovani sono scappati appena hanno potuto). Ci dice don Marco che tutto quello che stanno ricevendo lo convertono in cibo e lo portano in quei posti per tamponare la situazione. Si è messo in piedi anche un progetto di food for fees (cibo in cambio di tasse scolastiche) dove si cerca di tenere aperte le scuole dando il cibo al posto dei soldi che i bambini non possono pagare.

Con rinnovato orgoglio scarichiamo i nostri sacchi e consegniamo il frutto della solidarietà di chi certo non se la passa benissimo, ma che sa tirare fuori il meglio per un fratello in difficoltà.

Rientriamo a casa appena in tempo prima che faccia ancora buio … stanchi ma felicissimi di aver assistito a questo miracolo, in cui ognuno ha messo del proprio e ce ne è stato anche per chi non ne aveva.

Come scriveva Pio XII “Se qualcuno, anche se povero, aiuterà qualcun altro non diventerà per questo più povero; sarebbe impossibile. Dio non si lascia vincere in generosità.”

Mauro Marangoni

laico fidei donum in Kenya

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IN KENYA – Dal 16 al 31 Luglio 2011 – Viaggiare per Condividere

La mia Africa è il titolo di un famoso film, se non sbaglio, degli anni Ottanta, ma anche il titolo più adatto per riassumere l’esperienza che ho vissuto quest’estate in Kenya.

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Guardando le foto da me scattate o quelle di Carlo, Giulia e Michela, i sentimenti che prevalgono sono la nostalgia, la gioia … ma anche la malinconia e la nostalgia. Nostalgia dei bei ricordi, di emozioni uniche, della spensieratezza, l’unicità di immensi posti, ma soprattutto dei volti di tutte le persone incontrate.

Ospite in terra straniera e non straniero in terra straniera. Per la prima volta non mi sono sentito “straniero”, ma il termine più corretto da utilizzare è ospite: sentirsi accolti da persone che, anche se mi chiamavano musungu (viso bianco), mi hanno sempre accolto a braccia aperte, anche se non avevano nulla da offrirmi o se il tempo trascorso con loro era solo di cinque minuti. Soprattutto quando al momento dei saluti affermavano con molta sincerità che sarò sempre il benvenuto e di tornare il prima possibile a trovarli.

Spesso i ruoli si sono invertiti: non ero io a scoprire loro, ma loro a scoprire me. Quante volte ho sentito le mani dei bambini che toccavano furtivamente i miei capelli (quei pochi che mi rimangono), così diversi dai loro, o quando facevano a gara, anche per strada, per dare la mano al bianco che forse vedevano e/o toccavano per la prima volta.

Un altro mondo.

Quando mai qui in Italia i bambini e i ragazzi ti salutano per strada quando passi con la macchina? Quante volte sono io per primo a non salutare le persone che conosco, oppure il saluto che esce dalla mia bocca è spento e freddo … Sarà una piccolezza, ma quest’usanza mi ha fin dal primo giorno sbalordito, e non solo: mi ha riempito ogni giorno di calore, faceva nascere un sorriso sul mio volto anche quando era stanco o imbronciato.

In alcuni momenti le mie preoccupazioni e i miei pensieri erano superficiali: ad esempio una sera la mia principale preoccupazione era di non sporcare i pantaloni puliti appena indossati mentre eravamo a cena alla comunità Effata. Quando sono tornato nella mia stanza e pensavo alla giornata trascorsa mi sono accorto che spesso e volentieri mi faccio tutti i giorni 200000 problemi (per non utilizzare un termine poco elegante ma più appropriato), ma qui mi accorgo che i veri problemi sono altri: avere l’acqua, garantire un pasto ai propri figli, avere qualcuno che ti accoglie e ti vuole bene, …

Compagni di viaggio.

Carlo, Giulia, Michela, don Pierluigi, Zolia, Francesco, ma non solo: don Raffaele, don Giuseppe, don Mariano, don Sandrino, Sr Alice, Sr Magdalene, Sr Felicita, Mauro, Chiara, Giosuè, Pietro e baby in arrivo, don Lorenzo, don Gabriele, don Sandro, il vescovo Luigi, don Vittorio, don Remigio, Alessia, don Luciano, Anna, Eligia,… Sono alcune delle tante persone che mi hanno accompagnato in questi giorni e che mi hanno aiutato a scoprire, ad iniziare a comprendere il significato di una parola

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difficile e così difficile da comprendere: missione. Una mia definizione però non sono ancora riuscito a darla… ma si può riassumere con una frase contenuta in un brano del vangelo di Matteo (Mt 10, 16-25): “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

La natura.

Terra e acqua: sono due dei quattro elementi principali che lì per me hanno assunto varie sfaccettature. Della terra mi sono rimasti impressi: il suo colore rosso, le nuvole di polvere alzate dal passaggio delle auto che andavano a coprire completamente le persone che camminavano ai bordi delle strade, le “crepe” causate dall’aridità, le conseguenze della sua produttività per la sopravvivenza della popolazione locale, i tempi di “produzione” completamente diversi a quelli a cui noi siamo abituati (ad esempio il mais viene raccolto tre volte in un anno in Kenya, mentre in Italia si ottiene solo un raccolto).

L’acqua. Spesso ci dimentichiamo l’importanza di questo dono di cui noi siamo abituati ad avere in abbondanza, ma lì in Kenya ti accorgi di quanto sia preziosa e in alcune zone molto rara. I miei occhi non hanno mai visto la pioggia come un dono di Dio, anzi come una scocciatura: in quei giorni quando arrivava si poteva percepire dalla gente quanto era attesa così avrebbero potuto accumularla nelle cisterne per poterla utilizzare in casa, per lavarsi, per bagnare i campi… Con l’arrivo della pioggia la vegetazione cambia completamente colore e aspetto in breve tempo: da secca e gialla a verde e rigogliosa.

La bellezza della natura. Questo paese è composto da una vasta tipologia di paesaggi naturali che lo rendono un luogo di straordinaria bellezza visiva. La savana: la vastità del paesaggio e tutti gli animali che la percorrono dalle zebre, le giraffe, bufali, gli ippopotami, i rinoceronti, i fenicotteri, i babbuini verdi… e la fortuna di vedere due leoni e una leonessa pigri al riparo dalla calura sotto dei grandi arbusti. L’intravista Rift Valley e la vastità delle sue vallate. Ma anche la natura nostrana: le pecore e le vacche che pascolavano lungo i cigli delle strade. A proposito di quest’ultime si rimane sconvolti nel sentire che per una famigli la loro vita è più importante dei figli, essendo loro delle piccole banche ambulanti. E infine le innumerevoli varietà di colori dei fiori e delle piante che danno un tocco di allegria alla terra.

Progetti missionari. Sono rimasto sbalordito dall’importanza sociale dei progetti che i missionari stanno compiendo. L’ospedale di North Kinangop, Tabor Hill, St Martin, Talitha Kum, Effata, Ol Kalou, sono alcuni dei frutti del loro operato. I missionari possono essere definiti come dei piccoli managers, ma anche semplicemente dei papà che allevano, correggono e aiutano a crescere le loro “creature” e tutto ciò che concerne e ruota attorno (le forme di sostentamento come la fattoria, la falegnameria,…). Non voglio dimenticare le parrocchie di Weru e Mochongoi. Nella prima abbiamo partecipato alla celebrazione della consacrazione di una chiesa, mentre nella seconda siamo stati invitati ad un matrimonio per noi insolito e abbiamo partecipato alle messe domenicali dove ho riscoperto che cos’è la messa: la comunità in festa per lodare e ringraziare Dio.

Del Saint Martin dovremmo fare nostro il motto “Only through community” ovvero “solo attraverso la comunità” ove “il farsi carico assieme” dell’”altro” è la modalità per “costruire comunità” per mettere in campo quelle energie e risorse che né un singolo e né una famiglia può. È anche un metodo che mette il “povero” al centro come risorsa da ricevere e non come peso da portare. I poveri non hanno bisogno di essere salvati, sono loro che possono salvarci…

Parole. Speranza: è la parola chiave prevalsa nella mia mente all’interno della casa per disabili Ol Kalou e nel volto di tanti altri bambini: nei loro occhi si vedeva in modo molto chiaro.

Disagio: in alcuni villaggi dove ci ha condotto il vescovo Luigi. Io ho tutto, lì non hanno niente…

Gratuità e testimonianza: sono per me due parole sconosciute che in questi sedici giorni ho iniziato a conoscere.

Inglese: è giunta l’ora che io lo impari una volta per tutte.

Paura: di dimenticare tutto quello che ho vissuto e di non mettere a frutto quello che ho raccolto.

Grazie: a tutti quelli che direttamente o indirettamente mi hanno permesso di attuare e vivere quest’esperienza in Kenya, soprattutto grazie a Sandra e all’équipe di Viaggiare e Condividere che mi hanno donato gli strumenti per vivere al meglio quest’esperienza. Non voglio dimenticare di ringraziare Dio e di questo immenso Suo dono racchiuso in queste frasi.

Matteo Frizzarin

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